Euristica della paura
“Piuttosto che difenderci dall’oceano, dobbiamo proteggere l’oceano da noi stessi. Siamo diventati più pericolosi noi per la Natura di quanto essa stessa sia stata per noi. Siamo diventati il nostro maggior pericolo proprio per i nostri stupefacenti risultati nel dominare le cose”.1
L’uomo primitivo vedeva la Natura come ‘madre e matrigna’, ciò portava ad apprezzare il dono della vita da essa offerto e ringraziare per i beni che metteva a disposizione, accettando allo stesso tempo, la sua forza distruttiva. La Natura era una vera e propria divinità, essa dava la vita, tutto aveva uno spirito e tutto era vivo. Gli interventi dell’uomo sulla Natura erano superficiali ed incapaci di turbarne l’equilibrio.
L’atteggiamento odierno è molto diverso: l’uomo ha deciso di allontanarsi sempre di più dalla sua genitrice e, considerandola una proprietà legittima, ha iniziato a sfruttarla per rispondere ai propri bisogni, rendendola vulnerabile con il suo intervento tecnico.
In principio, la Natura non era oggetto della nostra responsabilità perché tutto ciò che aveva a che fare con il mondo extra-umano era capace di badare a se stesso e alla propria conservazione. L’uomo, tuttavia, ha cambiato questo stato di cose: offuscato dalla brama di conquista, ha iniziato a sfruttare e violare la Natura che credeva imperitura e sempre rinnovabile.
La portata delle iniziative tecnologiche umane ha mostrato che la Natura si è aggiunta agli oggetti di cui l’uomo, per via del potere che ha su di essi, ha responsabilità.
Hans Jonas (1903 – 1993), filosofo tedesco e allievo di Heidegger, è stato uno dei primi a mettere in guardia l’umanità circa la sua attuale incapacità di stabilire un equilibrio nel contesto in cui vive, sostenendo che l’uomo stia asfaltando la strada che conduce alla distruzione della propria specie e del mondo. Lo scopo di Jonas è stato quello di ricercare nuovi principi che sappiano guidare l’agire ora irresponsabile dell’uomo, considerando non più valide le premesse di un’etica tradizionale, un’etica antropologica del “qui e ora”, che aveva come fine ultimo solo ciò che concerneva i rapporti umani.
L’etica Jonasiana viene difatti definita come “etica del e per il futuro” e ha un ritmo, una forza persuasiva, fuori dal comune. Lore Jonas, moglie di Hans, scrive infatti: “Direi che possedeva quasi un’ingenuità che gli consentiva di vedere le cose in un modo nuovo, come se mai nessuno le avesse osservate prima”2. Questa “ingenuità” è rintracciabile in molti passi delle sue opere ove presenta, con l’impatto visivo di un fulmine a ciel sereno, i problemi che affliggono la Natura e che tutti noi, ora come ora, abbiamo davanti agli occhi nonché le incostanti conseguenze.
Uno dei tratti distintivi della nuova etica avanzata da Jonas è sicuramente quanto concerne il concetto di “euristica della paura”. L’euristica è una parte dell’epistemologia e del metodo scientifico nella ricerca che si occupa di favorire l’accesso a nuovi sviluppi teorici, nuove scoperte empiriche e nuove tecnologie. L’approccio di questa ai problemi, tuttavia, non segue un chiaro percorso ma si affida allo stato temporaneo delle circostanze, liberandosi della responsabilità nei confronti di ciò che potrebbe accadere in futuro. Viste le caratteristiche e la pericolosità di questo particolare metodo, Jonas ci induce ad elaborare quella che definisce “euristica della paura” al fine di ispirare le nostre scelte in modo d’agire con la consapevolezza che il male, che può compiersi a seguito di talune scelte, può mettere in pericolo la vita stessa dell’umanità.
Solo quando alla potenzialità dell’Homo Faber s’accompagnerà la capacità di riflettere sulle conseguenze del proprio agire, sostituendo alla speranza che il bene si compia, la paura che si compia il male si realizzerà, a dire di Jonas, un’euristica della paura che si trasformerà in un imperativo volto alla responsabilità, alla tutela e alla cura dell’altro.
La teoria etica ha bisogno dell’idea del male come quella del bene perché, nell’ambito delle nostre attuali possibilità, più che in altri momenti della storia, la realizzazione del male è incommensurabilmente tragica e pericolosa.
Si tratta di un malum che non affligge tanto l’uomo contemporaneo, quanto soprattutto le generazioni future e il pianeta stesso e che non dà vita al timore della morte costantemente vicina ma, piuttosto, ad un “timore intellettuale”, generato da noi stessi nel momento in cui ci lasciamo influenzare nel presente dalla sventura o dall’infelicità che potrebbero abbattersi sugli uomini a venire, sui nostri figli e nipoti.
Hans Jonas, quando sollecita la responsabilità per il futuro della Terra, parla dunque di una paura che non sia volta a paralizzare l’azione o usata come arma di terrore dai dittatori, ma quella che cerca di prevedere, di capire, di scoprire. Tale approccio dovrebbe generare curiosità, spingere a fare domande, informarsi e, soprattutto, rivedere quanto fatto. La paura, per Jonas, è un dovere: dobbiamo temere ciò che ancora non si è esperito, acquisire il senso del lungo termine degli effetti che il presente potrà avere sul futuro. Si deve consolidare nell’uomo la capacità di vigilare sugli sviluppi tecnologici, riconoscendo una priorità alla possibilità di insuccesso sulle speranze, soprattutto considerando che alla tecnica manca il tempo per l’autocorrezione.
L’evoluzione naturale è il risultato di un lavoro lento e paziente della Natura che scarta gli errori e procede con successo; la tecnologia odierna, invece, concentra in pochi e colossali passi il percorso lungo che ha seguito la Natura quindi, quest’ultima ha avuto tantissime opportunità per auto-correggersi, possibilità che alla tecnologia manca. L’impossibilità di poter tornare indietro e cancellare i nostri errori dovrebbe smuovere la nostra sensibilità, il nostro senso di dovere, la nostra paura.
Ci rendiamo dunque conto che la paura, così come la intende Jonas, è un sentimento che induce all’azione, all’assunzione di responsabilità per l’ignoto futuro. Si tratta di un timore fondato, perché parte dalla predizione dei pericoli possibili a seguito di talune scelte; è una paura altruistica, perché muove dall’intento di aver cura degli altri, dalla preoccupazione per la minaccia che incombe sulla loro esistenza.
Poiché l’uomo è diventato un pericolo, non solo per se stesso ma per l’intera biosfera, la paura deve costituire la fonte di un’etica della responsabilità.
Chi non crede che il destino dell’uomo sia garantito dal progresso tecnologico ma, d’altra parte, non intende seguire gli apocalittici nella denuncia indiscriminata di tutto il sapere, deve seguire, a dire di Jonas, dunque, la via di un’etica della responsabilità che cerchi di coniugare etica universalistica e realismo politico.
Secondo il filosofo tedesco, bisogna ricorrere a nuovi principi etici perché è la prima volta nella storia che l’umanità si trova implicata in un progresso irreversibile di trasformazione della Natura e di se stessa.
La riflessione di Jonas è percorsa dalla consapevolezza che, per la prima volta nella sua storia, l’umanità ha intaccato i confini della biosfera e, con nuove tecnologie ed esperimenti, tenta di modificare anche il suo patrimonio biologico. Ciò che motiva la paura, in entrambi i casi, non è tanto la soglia del pericolo effettivamente raggiunta ma il fatto che, allo stato attuale delle cose, non siano ipotizzabili delle soglie. Questo tipo di paura ha per Jonas una chiara valenza euristica e dovrebbe portare alla conservazione dell’ “uomo naturale”. Infatti egli non mira ad edificare un paradiso terrestre futuro ma si limita soltanto nella “modesta abitabilità anche futura del mondo e della sopravvivenza della nostra specie”3.
Nonostante forti e timorose affermazioni di tal sorta, Jonas deve ammettere che oggi come oggi, non possiamo fare a meno della tecnologia e che per venire a capo delle conseguenze negative insite nel progresso, abbiamo bisogno di un progresso etico. L’unica ancora di salvezza sembra essere, quindi e a questo punto, la paura:
“Si dovranno apprendere nuovamente il rispetto e l’orrore per tutelarci dagli sbandamenti del nostro potere. Il paradosso della nostra situazione consiste nella necessità di recuperare dall’orrore il rispetto perduto, dalla previsione del negativo, il positivo: il rispetto per ciò che l’uomo era ed è, dall’orrore dinanzi a ciò che egli potrebbe diventare, dinanzi a quella responsabilità che ci si svela inesorabile non appena cerchiamo di prevedere il futuro.”4
Invece che andare contro ad ogni innovazione o progresso tecnologico, si potrebbe semplicemente partire dal presupposto che la scienza, in quanto strumento di creazione della tecnologia, è pericolosa e considerare per buone le parole del fisico saggista Paul Davis:
“Dobbiamo non già arrestarci, ma essere consapevoli dei pericoli della scienza e creare le istituzioni e la regolamentazione adatte per esser sicuri che non sfugga mai al controllo.”5
I quesiti che si potrebbero qui porre, considerando gli accadimenti del nostro periodo, sono: siamo certi che ciò non sia già accaduto? Che il potere che abbiamo sul progresso e con il quale abbiamo influenzato negativamente lo stesso, non abbia fatto sì che perdessimo totalmente il controllo?
È proprio il porsi tali dubbi che ci allinea col pensiero di Jonas e fa sì che entri in campo la paura euristica di cui parla.
Si può dire che Jonas abbia tracciato il punto di partenza del lungo e non affatto facile cammino verso una maggiore cura della biosfera e dell’uomo, in visione di un futuro non più minacciato dall’inarrestabile potere a cui l’uomo è in grado di attingere.
Grazie alle sue opere, è stata percorsa molta strada rispetto al modo tradizionale di affrontare le questioni etiche. Jonas segnala problemi cruciali del nostro tempo storico e il grido di allarme da lui lanciato sulle prospettive minacciose della civiltà tecnologica e la conseguente esigenza di promuovere una sfida umanistica all’insegna dell’imperativo della responsabilità (nostra e nei confronti della Natura che abbiamo messo in pericolo), coglie nel segno:
“Solo gli albori di una nuova coscienza, che si risvegli dall’euforia delle grandi vittorie, ancora con gli occhi socchiusi, scruti nella forte luce diurna dei suoi pericoli e impari a conoscere di nuovo la paura e il tremore, fanno sperare che ci addosseremo volontariamente i limiti della responsabilità e non permetteremo alla fine al nostro potere divenuto così grande di sopraffarci – o di sopraffare coloro che verranno dopo di noi.”6
Note:
1Jonas, Scienza come esperienza personale, 1992.
2Jonas, Memorie, 2008.
3Jonas, Scienza come esperienza personale, 1992.
4Jonas, Il principio di responsabilità, 1993.
5P. Davies, Riflessioni sulla cosmologia contemporanea, 1989.
6Jonas, Tecnica, medicina ed etica, 1997.
Denise teaches the Italian curriculum in year 4 and Italian math in year 3